Immerso nella pianura del fiume Reno, al confine tra le province di Bologna e Ferrara, si trova il comune di Galliera.
Il suo territorio e’ costituito da tre paesi che insieme formano un unico comune: Galliera Vecchia (oggi localita’ antica), San Venanzio e San Vincenzo.
Uscendo dai nuclei urbani dei tre paesi, il paesaggio rurale dei campi coltivati si alterna alla presenza di alcune piccole borgate. Tra le piu’ importanti citiamo S. Prospero, il Bosco, il Morellazzo, il Ghetto Milanesi e il Ghetto Sirino, il Borgo, il Ponte Madonna, la Tombetta e la Bisana.
Il paesaggio agrario e l’assetto attuale del nostro territorio, sono il frutto di una trasformazione plurisecolare. L’uomo infatti, col suo lavoro e il suo ingegno, ha modificato l’ambiente naturale piu’ volte nell’arco dei secoli.
I brani che seguono ripercorrono le tappe fondamentali dell’evoluzione del territorio di Galliera attraverso la storia dei suoi nuclei principali.
In epoca romana le paludi che si estendevano su buona parte della pianura bolognese erano punteggiate da zone più o meno ampie di terra emersa, spesso coltivate dagli antichi abitanti. Una di queste aree ai margini delle valli si trovava all’interno dell’attuale comune di Galliera ed era attraversata da una strada di notevole importanza commerciale.
I numerosi e rilevanti reperti archeologici scoperti nella contigua zona di Maccaretolo confermano la presenza già nel II secolo d.C. di nuclei insediativi.
Le bonifiche intraprese dai coloni romani vennero in parte cancellate nei secoli seguenti dalle inondazioni del Po e del Reno, che con ritmica frequenza, specie a partire dal VI secolo, trasformarono il territorio in laguna palustre, contribuendo anche ad un progressivo innalzamento del suolo per la sedimentazione di detriti alluvionali. La situazione si fece sempre più critica con la costruzione, verso la fine del XVI secolo ad opera dei Ferraresi, (preoccupati di proteggere la propria pianura dalle piene del Po) di un argine alla confluenza tra il Po ed il Reno. Così, per oltre duecento anni le acque del fiume Reno alimentarono le valli che si aprivano a nord-est del loro corso e che interessavano gran parte dei territori di San Martino, Malalbergo, Poggio e Galliera.
Le prime notizie sul castello medioevale di Galliera compaiono in un atto di vendita stipulato nel 997. Fortezza di rilevanza strategica poiché posta sul confine tra due stati, Galliera rimase per lungo tempo un importante avamposto del comune di Bologna verso il confine ferrarese.
Nel 1336 il castello venne distrutto dal comune di Bologna perchè, come scrive lo storico Serafino Calindri, vi si erano rifugiati alcuni fuorisciti di parte ghibellina che vennero impiccati agli “arbori” o alberi. (S. Calindri. Manoscritti, vol. IV BCA – Bologna). Ciò nonostante il paese di Galliera mantenne un ruolo di centro amministrativo e militare e divenne sede di uno dei vicariati che reggevano il contado bolognese. A testimonianza della costruzione scomparsa rimane ancor oggi la Torre medioevale in muratura situata poco a nord dell’abitato; in cima all’ingresso si trova un possente architrave di pietra tripartito e un arco cieco di cotto finemente decorato. Il lato maggiore della torre misura quasi dieci metri, quello minore sette metri e settanta centimetri. E’ opinione comune che, oltre alla parte oggi visibile, alta quasi 22 metri, la torre continui sotto il suolo per una certa profondità. La base della costruzione sarebbe infatti interrata a causa delle numerose alluvioni succedutesi nel corso del tempo. Il torrione conserva comunque un aspetto imponente e severo.
Con l’arrivo dei Francesi nel 1796 e la vendita delle proprietà degli enti ecclesiastici e religiosi, si aprì una nuova fase per la storia del territorio di Galliera, segnata dalle vicende di uno sviluppo agricolo di tipo capitalistico. Il bolognese Antonio Aldini riuscì ad acquistare nell’arco di dodici anni ben 52 fondi di terra, più o meno contigui, nella zona di Galliera e S. Pietro in Casale, e li accorpò secondo i criteri di una gestione produttiva unitaria. Venne cosi a formarsi un’azienda di notevoli dimensioni, comprendente novanta edifici rurali, vie di comunicazione interne ed un moderno sistema irriguo che permetteva la coltivazione del riso su vasta scala.
Nel 1812 la tenuta venne acquistata da Napoleone che solo un anno dopo nel 1813, la investì del titolo di “Ducato di Galliera”.
Nella metà dell’Ottocento lo sviluppo tecnico-produttivo dell’azienda toccò l’apice, avvicinandosi notevolmente ai modelli agricoli operanti con successo nella Lombardia meridionale. All’inizio del nostro secolo, per motivi di vario ordine il Ducato venne frazionato e messo in vendita dai suoi ultimi proprietari, Antonio d’Orleans ed Eulalia di Borbone. A testimonianza delle vicende di questo periodo rimangono gli stemmi presenti ancora in molte case coloniche della zona e, come risultato indiretto del complessivo sviluppo del paese, l’imponente chiesa parrocchiale di Galliera, dedicata alla Madonna del Carmine, edificata tra il 1885 ed il 1895, il paesaggio circostante e addolcito dalla linea sinuosa del vecchio argine della Coronella e dalla fascia verde intenso dell’argine del Reno che chiude l’orizzonte verso nord.
II nucleo più antico del paese era originariamente un piccolo insediamento cresciuto attorno al castello della famiglia Piatesi e alla chiesa parrocchiale. Questi edifici vennero probabilmente distrutti dalla rovinosa inondazione a meta’ del ‘700, la “rotta” della Panfilia.
Il centro attuale, dove ha sede il municipio, si è sviluppato soprattutto in seguito alla crescita demografica ed edilizia suscitata dall’incremento produttivo del Ducato di Galliera.
La chiesa di San Venanzio risale infatti al 1876 e sorge al posto di un piccolo edificio sacro costruito cinquant’anni prima e rivelatesi presto insufficiente ad accogliere la crescente popolazione del luogo. Del vecchio complesso resta solo il campanile.
Di fronte alla chiesa si trova il palazzo Bonora della fine dell’Ottocento, caratterizzato da un grande balcone sorretto da Telamoni, due grandi statue di pietra. Dal 1948 è sede degli uffici comunali; in origine era residenza della famiglia di imprenditori agrari che per vari decenni gestirono direttamente e con profitto il patrimonio terriero del “Ducato”.
La “pieve” di S.Vincenzo è di origine molto antica, gia’ nominata in un documento del IX secolo. Dalla sua chiesa battesimale dipendevano varie parrocchie, tra le quali quelle di S.Venanzio, Galliera, Maccaretolo e Malalbergo.
La chiesa attuale è stata edificata nel 1736 dai signori d’Este che, malgrado avessero perso il dominio di Ferrara alla fine del Cinquecento, per lungo tempo continuarono a mantenere il proprio giuspatronato su S.Vincenzo.
Le chiese plebane locali vennero create allo scopo primario di decentrare i fonti battesimali nelle campagne, dove la popolazione andò aumentando a partire dal IV secolo. Fino a quell’ poca il battesimo era stato impartito unicamente presso i centri diocesani, ovvero era stato prerogativa dei vescovi. Le “pievi” vennero volutamente insediate presso comunità di una certa rilevanza, residenze di piccoli magistrati e amministratori dipendenti dal potere laico centrale.
Nei secoli di dominazione barbarica, le forme di giurisdizione provinciale e statutale di derivazione romana sparirono quasi ovunque, restarono però le “pievi”. Lungi dall’essere solo edifici religiosi connessi a certe forme di culto e di celebrazione liturgica, le pievi divennero delle vere e proprie giurisdizioni territoriali con possesso di beni immobili, amministrate da parroci, curati, rettori, collegi di sacerdoti. Sulla loro nomina, non a caso, i feudatari locali e i cittadini tentarono di estendere il loro diretto controllo tramite l’istituto del giuspatronato. La presenza di una sede plebana o parrocchiale in una comunità del medioevo è quindi la spia della centralità rispetto al territorio circostante, compresi i paesi e i borghi limitrofi. L’estensione della giurisdizione – le altre chiese e i territori ad essa dipendenti – rivela la sua importanza all’interno di una precisa area istituzionale e socio-economica.